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LE COLPE DI RICCO´ E LE IPOCRISIE DEL SISTEMA

09-02-2011 21:59 - News generiche
Ha rischiato la morte per choc anafilattico o qualcosa di simile. Ha rischiato di morire per una sacca di sangue probabilmente mal conservato. Un dejà vu nella palude del ciclismo dopato che richiama alla memoria la confessione dello spagnolo Manzano. Ma, la storia evidentemente non insegna nulla in questo ambiente, così, solo quando ha capito che stava per lasciarci la pelle, al medico ha dovuto dire tutto. "Mi sono praticato una autotrasfusione con una sacca che conservavo in frigo". Sono le parole che Riccardo Riccò ha dettato a referto quando nella sera di sabato è stato trasportato d´urgenza all´ospedale di Pavullo. Sono le parole che hanno obbligato d´ufficio il pm di Modena Pasquale Mazzei ad aprire un procedimento penale con l´ipotesi di violazione della legge 376, la legge antidoping italiana. Sono le frasi che da un lato segnalano un grave problema di salute le cui conseguenze sono tutte da valutare, ovviamente con i migliori auguri, anche se adesso la frittata è fatta.

Dall´altra segnano la fine di una carriera sportiva ancora acerba e ricca di promesse, ma sempre sotto l´ombra del dubbio e del sospetto. Il "Cobra" guascone, che irrideva gli avversari tacciandoli di essere "invertebrati", lo scalatore fulmineo (tre tappe al Giro fra cui la storia Tre Cime del 2007; due al Tour che gli è costato la positività all´epo e la squalifica a 20 mesi) ora ha piegato la testa. E in tanti adesso sono pronti a schiacciarlo anche perchè lui nel tempo ha fatto poco o nulla per rendersi simpatico. Anzi.

Dubbi e ombre gravano da sempre sul capo dello scalatore di Formigine. Da quando ancora juniores (2001) fu fermato per ben due volte per i valori ematici fuori norma. Problema risolto nel momento in cui passato alla corte dello svizzero Gianetti approdò ad una provvidenziale certificazione da parte della federazione internazionale che gli garantiva la regolarità dei valori elevati oltre la media. Ma l´anno o poco meno dal rientro dalla squalifica (marzo 2010) è stato un crescendo di sospetti e indizi negativi, anche se recentemente un insospettabile schierato sul fronte della lotta al doping come il professor Aldo Sassi, recentemente scomparso per un terribile male, lo aveva preso sotto la sua ala protettrice. "Ha messo la testa a posto - ci aveva raccontato - ha bisogno di aiuto". E il cronista era partito armi e bagagli per un´intervista cui il "cobra" non si è mai presentato. Un evidente rigurgito di coscienza. La costante in questo periodo era la presenza di figure equivoche. Si era appoggiato ad un "accompagnatore ufficiale" finito subito nell´indagine che portò al blitz al Giro del Trentino dello scorso anno. Poi un´altra bomba gli era scoppiata quasi sui piedi: l´inchiesta dei Nas "Cobra Red" in cui il fratello della compagna Vania Rossi (anche lei sopravvissuta ad una positività all´epo perché il campione della controanalisi si è degradato nel tempo) noto corridore professionista, figura come trafficante di sostanze dopanti. E si parla, nel caso, di anabolizzanti, epo (onnipresente), stimolanti, mascheranti, ormoni, ecc. tenuti in "custodia" da un cicloamatore amico. Ovvero: doping pesantissimo. La sua casa era stata perquisita ma senza esito. Ma tutto questo non lo ha distolto dal continuare. Fino a rischiare la pelle. Uno squallore totale.

Restano molte domande da chiarire: per quanto crudo e duro uno possa essere è una follia pensare che un individuo possa farse un prelievo di sangue da sè, metterlo in frigo, conservarlo e poi reinfonderselo senza che nessuno attorno se ne accorga. Ha fatto tutto da solo Riccò? E nessuno in famiglia si è accorto della sacca? E medici, tecnici, specialisti che continuamente tengono sotto controllo le prestazioni dell´atleta non si sono accorti di nulla? Sprovveduti inebetiti o complici? Dice il presidente federale Di Rocco. "L´amarezza è tanta, ma il caso è così particolare e terribile da indurci a riflettere su una crisi di valori che sarebbe riduttivo limitare al ciclismo o allo sport in genere. Qui non si tratta di consiglieri sbagliati, di apprendisti stregoni, della piovra occulta che stiamo tentando di combattere e sradicare. Siamo di fronte a un ragazzo malato dentro, intossicato da falsi messaggi - visibilità e successo a tutti i costi e con ogni mezzo - che gli hanno fatto perdere il senso della realtà, di ciò per cui vale pena impegnarsi, faticare e vivere. Il danno di immagine è enorme e la federazione farà tutti i passi per tutelarsi. Ma il disastro morale è spaventoso".

Già, un ragazzo malato dentro. Solo? E il ciclismo dei giovani che a 17 anni si fanno di tutto pur di vincere, perfino gli ormoni femminili, magari con la "spinta" dei dirigenti societari, copiando (in peggio) il modello balordo dei prof? Quel ciclismo non è malato alla base? E cosa si fa per affrontare questo problema sotto gli occhi di tutti? Facile sparare sul "cobra" ferito. Chi lo ha intossicato di falsi messaggi se certo sport prende in considerazione solo il risultato? Lasciamo perdere i facili predicozzi e rimbocchiamoci le maniche se davvero il ciclismo interessa ancora. La federazione ha gli strumenti per lanciare una campagna per il passaporto biologico (magari ridotta e fatta a misura) anche fra i giovani. E´ lì, con il monitoraggio, che bisogna operare in via preventiva se si vuole che la spirale del doping non sia continuamente alimentata dai moderni kamikaze della farmacia e delle pratiche vietate. E´ lì che bisogna operare per arginare la follia. Siamo alle trasfusioni fai da te. Con annesso rischio di morte. Che si aspetta?



Fonte: SPORTPRO.IT
 

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